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Giulia Cavazza: il lato ‘discreto’ delle serie tv

7 Novembre 2022

Chi, tra televisione e piattaforme multimediali, può dire di non aver mai visto una serie TV? Ormai nessuno, perché il successo che questo settore ha conosciuto negli ultimi anni è a dir poco esplosivo, arrivando ad eguagliare (se non anche a superare) il grande mondo del cinema. Ora, quel che vediamo sullo schermo, come si può ben immaginare, è sempre il frutto del lavoro di decine di menti, alla costante ricerca di un’idea originale, di una storia concretamente trasponibile sul set; meno scontato è chiedersi chi riesca a garantire la “serialità” del prodotto, ovvero l’efficacia drammaturgica e la continuità tra i diversi episodi. Di tutto questo, e molto di più, si occupa Giulia Cavazza, giovane story editor ormai affermata sia sul piano nazionale che internazionale.

“Ben pochi conoscono davvero il mio lavoro, di certo pensando alla produzione delle serie non sono la prima persona che viene in mente”, esordisce la relatrice; ovviamente non si tratta di mancanza di autostima, ma della piena presa di coscienza che la propria attività deve muoversi nell’ombra. Una story editor, infatti, è in primo luogo una mediatrice: mantiene il filo dei discorsi maturati durante le riunioni degli sceneggiatori (spesso caotiche e variegate), comunica con il regista, è il tramite con il cast poiché conosce tutti i retroscena dei personaggi. Sebbene non sia strettamente una sua mansione, può anche intervenire nel processo creativo, proponendo soluzioni concrete pur senza soverchiare l’autorità degli sceneggiatori.

Dunque, un lavoro intenso e totalizzante “che mi occupava per tredici ore al giorno”, ha affermato la relatrice. Lei per ben tre anni ha collaborato con la casa di produzione Lux Vide seguendo le serie Doc – Nelle tue mani e Blanca e solo da poco ha abbandonato la RAI per dedicarsi alle stesse attività ma in piena indipendenza, da freelancer, cercando quell’equilibrio umano e professionale che non sente di aver ancora maturato fino in fondo. “E’ naturale”, dice, “che un lavoro come il mio ti assorba del tutto, ma vorrei poterlo integrare con altri obiettivi, non esclusivamente professionali; e pensare che non avrei mai immaginato di entrare nel mondo delle serie TV”.

In effetti la storia di Giulia è l’emblema di quanto piccole scelte possano cambiare il corso degli eventi. Da sempre amante delle storie e della lettura, si iscrive al corso di Lettere a Milano, dove crede di poter coniugare la passione per la letteratura con una visione più pratica del mondo del cinema e del teatro (in tutto questo, le serie TV erano sempre ai margini dei suoi interessi). Giunta all’ultimo anno, segue un po’ casualmente un corso di semiotica e ne rimane folgorata: racchiudeva esattamente ciò che da sempre stava cercando, ossia attenzione al lato formale senza dimenticare il contenuto concreto dei testi, spesso accantonati in tutti gli altri corsi di studio. Dopo la tesi, discussa brillantemente e pubblicata poco dopo, viene convinta dal relatore a frequentare un Master in sceneggiatura, scoprendo, seguendo le sue parole, “l’immensa forza persuasiva delle serie e i passi da gigante compiuti dal settore rispetto al passato”. E’ l’inizio di una grande che, come detto, la porterà a spaziare tra produzioni nazionali e internazionali.

Ogni prodotto, poi,  è diverso da un altro, e nel mondo delle serie, che tutt’al più appartiene all’esperienza di tutti, questo principio vale più di ogni altro. Non sorprende, quindi, la quantità di interventi, di richieste, di curiosità maturate durante la serata su aspetti “da addetti ai lavori” che altrimenti rimarrebbero insondabili: il processo produttivo di una serie, ad esempio, con i suoi tempi e le sue necessità; le differenze tra serie italiane e serie estere; il tema del “politically correct” e molto altro. Il tutto tenendo a mente un principio, valido sia dentro che (metaforicamente) fuori dalle telecamere: “Una storia per essere trasponibile sullo schermo deve sempre nascere da un conflitto; ogni conflitto, però, deve anche avere una risoluzione e lo spettatore deve imparare a riconoscerla, quasi suggerendola ai protagonisti.”

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